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venerdì 6 maggio 2011

La metafora secondo Troisi

Ma cos'è la metafora? 
Per cominciare, il significativo dialogo che Antonio Skármedala ha saputo inventare fra Neruda e il postino (Massimo Troisi), proprio intorno alla metafora nel film "Il postino":
...
“Neruda [= N]: […] È indegno che tu mi sottoponga a questo tipo di paragoni e metafore. 
Postino [=P]: Don Pablo? 
N: Metafore, diamine! 
P: E cosa sarebbero? 
Il poeta posò una mano sulla spalla del ragazzo. 
N: Per spiegartelo più o meno confusamente, sono modi di dire una cosa paragonandola con un’altra. 
P: Mi faccia un esempio. 
Neruda guardò l’orologio e sospirò. 
N: Be’, quando dici che il cielo sta piangendo, cos’è che vuoi dire? 
P: Semplice! Che sta piovendo, no? 
N: Ebbene questa è una metafora. 
P: E perché se è una cosa così semplice, ha un nome così complicato? 
N: Perché gli uomini non hanno nulla a che vedere con la semplicità e la complessità delle cose. Secondo la tua teoria, una cosa piccola che vola non dovrebbe avere un nome lungo come farfalla. Pensa che elefante ha lo stesso numero di lettere di farfalla, ed è molto più grande e non vola 
Conclude Neruda esausto. Con un ultimo scampolo di energia gli indicò la rotta per la caletta. Ma il postino ebbe la baldanza di dire 
P: Come mi piacerebbe essere poeta! 
 […]
N: Ho riaperto perché sospettavo che tu fossi ancora qui. 
P: È che stavo pensando 
Neruda strinse le dita al gomito del postino e lo condusse con fermezza fino al lampione a cui aveva appoggiato la bicicletta. 
N: E per pensare rimani fermo? Se vuoi diventare poeta, comincia a pensare camminando […]. Ora te ne vai alla caletta pedalando lungo la spiaggia, e mentre osservi il movimento del mare puoi metterti a inventare metafore. 
P: Mi faccia un esempio. 
N: Ascolta questa poesia: “Qui, nell’isola, il mare, e quanto mare, Esce da sé a ogni istante. Dice di sì, di no, di no […]. Che te ne pare? 
P: Strano. 
N: Strano. Sei un critico severo. 
P: No, don Pablo. Non è la poesia che è strana. Strano è come io mi sentivo mentre lei recitava la poesia. 
N: Mio caro Mario, vedi di svegliarti un po’, perché non posso passare tutta la mattina ad ascoltare le tue chiacchiere. 
P: Come posso spiegarmi? Quando lei recitava la poesia, le parole andavano di qua e di là. 
N: Come il mare, allora! 
P: Sì, ecco, si muovevano come il mare. 
N: E questo è il ritmo. 
P: E mi sentivo strano, perché con tutto quel movimento mi veniva il mal di mare. 
N: Il mal di mare 
P: Certo! Ero come una barca cullata dalle sue parole. 
Le palpebre del poeta si scollarono lentamente. 
N: Come una barca cullata dalle mie parole. 
P: Sicuro! 
N: Lo sai cos’hai fatto, Mario? 
P. Cosa? 
N: Una metafora. 
P: Però non vale, perché mi è venuta così, per caso. 
N: Non c’è immagine che non sia casuale, figliolo. 
Mario si portò la mano al cuore, e cercò di controllare una prepotente palpitazione che gli era salita fino alla lingua e lottava per esplodergli tra i denti. Arrestò il passo, e roteando un dito impertinente a pochi centimetri dal naso del suo illustre cliente, disse: 
P: Lei crede che tutto il mondo, voglio dire tutto il mondo, con il vento, i mari, gli alberi, le montagne, il fuoco, gli animali, le case, i deserti, le piogge… 
N: Adesso puoi già dire “eccetera”. 
P: gli “eccetera”! Lei crede che il mondo intero sia la metafora di qualcosa? 
Neruda spalancò la bocca, e il suo mento robusto parve distaccarsi dal volto. 
P: È una stronzata quella che ho domandato, don Pablo? 
N: No, davvero no.  
P: Però ha fatto una faccia così strana. 
N: No, il fatto è che mi sono messo a pensare.


Buona visione!



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